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Legittimo licenziamento per attività lavorativa durante il congedo familiare

14 Luglio 2022

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È legittimo il licenziamento disciplinare irrogato al dipendente che, durante un periodo di congedo concesso per gravi motivi familiari, viene sorpreso a svolgere un’altra attività lavorativa.

La Suprema Corte di Cassazione – Sezione Lavoro con l’ordinanza n. 19321 del 15 giugno 2022 ha ritenuto legittimo il licenziamento irrogato al lavoratore che, durante un periodo di congedo concesso per gravi motivi familiari, viene trovato a svolgere un’altra attività lavorativa.


La vicenda aveva origine nel 2017, allorquando un impiegato richiedeva un periodo di aspettativa non retribuita per tutto il mese di giugno. La datrice di lavoro, preliminarmente, accoglieva la richiesta, tuttavia in un secondo momento chiedeva al lavoratore di specificarne le motivazioni. Questi, in risposta, motivava la richiesta sulla base della gravidanza a rischio del coniuge e altresì modificava il periodo di aspettativa richiesto, dal 1° giugno 2017 al 30 settembre 2017. La Società accoglieva la nuova richiesta positivamente, qualificando la domanda del lavoratore come aspettativa per gravi motivi familiari ai sensi dell’art. 157 del c.c.n.l. di settore e dell’art. 4 della legge n. 53 del 2000. Nel periodo di sospensione dell’attività lavorativa venivano svolte delle indagini investigative da parte della datrice di lavoro ed emergeva che, nei giorni 27 e 28 giugno, 3, 4, 20, 21 e 24 luglio, il lavoratore svolgeva attività relativa ai servizi di pulizia riconducibili alle imprese di cui egli stesso o la moglie erano titolari. Tanto premesso, la società procedeva a contestare l’addebito e intimava il licenziamento del lavoratore per giusta causa in data 25 agosto 2017.

La Corte di Appello riteneva sussistente un giustificato motivo soggettivo di licenziamento in ragione dell’inadempimento contrattuale addebitabile al lavoratore che violava l’espresso divieto, posto dall’art. 4, comma 2, l.n. 53 del 2000 e dell’art. 157 del contratto collettivo, di svolgere attività lavorativa durante il periodo di congedo per gravi motivi familiari.

Avverso lo statuito della Corte territoriale, il lavoratore proponeva ricorso per cassazione, poiché riteneva che l’aspettativa fosse stata concessa per motivi personali in luogo dei gravi motivi familiari. A supporto di tale argomentazione, il lavoratore ricorrente asseriva che il certificato medico che attestava lo stato di gravidanza a rischio del coniuge prescriveva un periodo di riposo domiciliare di soli 30 giorni, mentre il datore di lavoro aveva concesso l’aspettativa per ben quattro mesi ingenerando nello stesso la convinzione che l’aspettativa fosse stata concessa per motivi personali.

La Suprema Corte respingeva il motivo del ricorso, affermando come la ricostruzione del fatto era stata adeguatamente accertata dalla Corte di Appello, che aveva espressamente valutato la legittimità dell’operato del datore di lavoro nel concedere l’aspettativa per gravi motivi familiari in base ai disposti dell’art. 4 della legge n. 53 del 2000 e dell’art. 157 del CCNL, in luogo della semplice aspettativa per motivi personali. Tanto premesso, la Corte confermava la pronuncia della Corte di merito in ordine alla proporzionalità fra la condotta tenuta dal lavoratore e il provvedimento espulsivo del datore di lavoro.

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