Con un recente comunicato stampa del 17 febbraio 2021, il Garante per la protezione dei dati personali ha fornito indicazioni utili “ad imprese, enti e amministrazioni pubbliche, affinchè possano applicare correttamente la disciplina sulla protezione dei dati personali nel contesto emergenziale, anche al fine di prevenire possibili trattamenti illeciti di dati personali ed evitare costi di gestione o possibili effetti discriminatori”.
Gli aspetti sui quali il Garante ha fornito risposta sono tre:
? IL DATORE DI LAVORO PUÒ CHIEDERE CONFERMA AI PROPRI DIPENDENTI DELL’AVVENUTA VACCINAZIONE?
No. Il datore di lavoro non può chiedere ai propri dipendenti di fornire informazioni sul proprio stato vaccinale o copia di documenti che comprovino l’avvenuta vaccinazione anti Covid-19”. E ciò neppure con il consenso del lavoratore. Infatti, si precisa che “il datore di lavoro non può considerare lecito il trattamento dei dati relativi alla vaccinazione sulla base del consenso dei dipendenti, non potendo il consenso costituire in tal caso una valida condizione di liceità”.
? IL DATORE DI LAVORO PUÒ CHIEDERE AL MEDICO COMPETENTE I NOMINATIVI DEI DIPENDENTI VACCINATI?
No e inoltre si aggiunge che “solo il medico competente può trattare i dati sanitari dei lavoratori e tra questi, se del caso, le informazioni relative alla vaccinazione, nell’ambito della sorveglianza sanitaria e in sede di verifica dell’idoneità alla mansione specifica (…). Il datore di lavoro può invece acquisire, in base al quadro normativo, i soli giudizi di idoneità alla mansione specifica e le eventuali prescrizioni e/o limitazioni in essi riportati”.
? LA VACCINAZIONE CONTRO IL VIRUS COVID-19 PUÒ ESSERE RICHIESTA COME CONDIZIONE PER L’ACCESSO AI LUOGHI DI LAVORO E PER LO SVOLGIMENTO DI DETERMINATE MANSIONI?
Nell’attesa di un intervento normativo ad hoc trovano applicazioni le “misure speciali di protezione” previste per taluni ambienti lavorativi (art. 279 nell’ambito del Titolo X del d.lgs. 81/2008)”.
Queste recenti precisazioni del Garante della Privacy si inseriscono nell’attuale dibattito, aperto in dottrina, sulla possibilità o meno per il datore di lavoro di imporre il vaccino al lavoratore dipendente.
Come è noto infatti, i sostenitori del SÌ fondano la propria tesi sull’art. 2087 e sull’art. art. 279 del DLGS 81/2008, che obbligano il datore di lavoro a realizzare le condizioni di massima sicurezza e igiene in azienda e dunque confermano la possibilità del licenziamento di chi decidesse di non vaccinarsi, dal momento che – per giurisprudenza costante – può sicuramente essere licenziato chi rifiuta senza giustificato motivo una misura necessaria per la sicurezza propria e dei terzi.
Dall’altro i sostenitori del NO obiettano: “In assenza di un vero e proprio obbligo di legge, come potrebbe, il datore di lavoro, imporre ai propri dipendenti – anche se occupati in mansioni che non comportano il contatto con i colleghi di lavoro – l’esibizione di una certificazione vaccinale?” “Come potrebbe essere dimostrato che la permanenza in azienda del dipendente non vaccinato arrechi un pregiudizio, anche solo potenziale, nei confronti dei colleghi?” “Come potrebbe il datore licenziare un dipendente se questi esercita una opzione legittima (non vaccinarsi) in mancanza di una legge che, tale vaccinazione, imponga?”
Alla luce di questo quadro assai incerto, si rimane in attesa di nuove riflessioni e soprattutto di conoscere quali saranno le posizioni assunte dalla giurisprudenza sulla tematica. È certo che un intervento legislativo sarebbe auspicabile al fine di fugare ogni perplessità sul tema.
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