Costituisce inadempimento all’ordine di reintegrazione la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale disposta unilateralmente dal datore di lavoro, senza accordo del lavoratore e senza pattuizione in forma scritta. Il principio è stato affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza del 5 giugno 2023, n. 15676.
La vicenda in oggetto trae origine dal licenziamento intimato da una società ad un lavoratore, precedentemente in forza con contratto di lavoro a tempo pieno, per impossibilità sopravvenuta della prestazione a seguito di visita di idoneità al lavoro con limitazioni del medico competente.
Il licenziamento era stato impugnato dinanzi al Tribunale di Tivoli che, con ordinanza del 15.4.2016, aveva condannato il datore di lavoro alla reintegrazione del ricorrente sul posto di lavoro, in quanto parte datoriale non era stata in grado di fornire la prova dell’impossibilità di ricollocare il lavoratore in un’altra attività. L’azienda, quindi, procedeva alla reintegra del lavoratore in un posto, tuttavia, diverso da quello in precedenza occupato, prevedendo, inoltre, la riduzione dell’ orario di lavoro da tempo pieno a tempo parziale. A fronte del rifiuto del dipendente di riprendere servizio, il dipendente veniva, nuovamente licenziato, questa volta per giusta causa, e si vedeva costretto ad impugnare anche il secondo licenziamento.
Nella fase di merito, il Tribunale di Tivoli rigettava le richieste del dipendente, ma la decisione veniva integralmente riformata dalla Corte d’Appello di Roma che, in accoglimento del reclamo promosso dal lavoratore, annullava il licenziamento condannando , nuovamente, il datore di lavoro alla reintegrazione del dipendente sul posto lavoro, oltre a dover corrispondere allo stesso una indennità risarcitoria di dodici mensilità. Ad avviso dei giudici del gravame, difatti, sebbene la società avesse correttamente adibito il lavoratore a mansioni compatibili con le limitazioni, rilevate da parte delle competenti strutture sanitarie, tuttavia essa non poteva, al momento della reintegrazione, disporre unilateralmente la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno, precedentemente in essere, a tempo parziale. Avverso tale decisione la società ha proposto ricorso per cassazione.
La Suprema Corte ha ritenuto infondate le doglianze della ricorrente, rilevando che l’ottemperanza del datore di lavoro all’ordine giudiziale di riammissione in servizio implica il ripristino della posizione di lavoro del dipendente, il cui reinserimento nell’attività lavorativa deve, quindi, avvenire nel luogo precedente e nelle mansioni originarie, altrimenti configurandosi (salvo sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive) una condotta datoriale illecita, che giustifica la mancata ottemperanza a tale provvedimento da parte del lavoratore. Ciò posto, il Collegio ha richiamato il principio, applicabile al caso di specie, secondo cui costituisce inadempimento all’ordine di reintegrazione nel posto di lavoro, cui il lavoratore può opporre eccezione di inadempimento ai sensi dell’art. 1460 c.c., la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale disposta unilateralmente dal datore di lavoro, senza accordo del lavoratore e senza pattuizione in forma scritta.
I giudici di legittimità hanno, altresì, ricordato che, in tema di licenziamento disciplinare, qualora il comportamento addebitato al lavoratore, consistente nel rifiuto di rendere la prestazione secondo determinate modalità, sia giustificato dall’accertata illegittimità dell’ordine datoriale e dia luogo pertanto a una legittima eccezione d’inadempimento, il fatto contestato deve ritenersi insussistente perchè privo del carattere dell’illiceità, con conseguente applicazione della tutela reintegratoria attenuata, prevista dall’art. 18, comma 4, della I. n. 300 del 1970, come modificato dalla I. n. 92 del 2012.
Vuoi saperne di più?